La moda degli anni ’50 è sorta in seguito ad una esplosione della creatività italiana, periodo che va dalle elezioni politiche del 1948 alle Olimpiadi di Roma del 1960.
L’Italia di quegli anni era un paese appena uscito dalle distruzioni della seconda guerra mondiale che, per merito di una grande forza interiore, ne vide la rinascita, economica e materiale. Il popolo italiano aveva voglia di vivere, sperimentare, ostentare, sognare e gioire; e fu così che, grazie alla peculiare creatività italiana, avvenne l’ascesa del „Made in Italy“. Il decennio degli anni Cinquanta è stato il primo momento di benessere per l’Italia; un’epoca veloce e spensierata nella quale la concezione di vita ricevette un nuovo significato: il benessere.
Dunque anche la donna, prima vista come madre di famiglia, obbediente e sottomessa, ora rappresentava, grazie anche all’influsso dato dal cinema nostrano, la speranza dopo la fame della guerra, una donna elegante e sofisticata, curata in ogni aspetto, sicura di sé. Anche la situazione politica, con un governo stabile, contribuì a dare più sicurezza al popolo italiano. Tutta questa cornice d’innovazioni permise anche nel campo della moda un percorso di evoluzione che oggi, pur non avendo ancora raggiunto la sua meta, fa dell’Italia una nazione leader della moda mondiale, pari alla Francia e agli Stati Uniti.
Dopo la prima guerra mondiale, le donne, alle quali si apriva ora la possibilità di accedere a ruoli in passato ricoperti esclusivamente dagli uomini, incominciarono ad aspirare ad abiti pratici e funzionali e ad acconciature semplici: accorciarono le gonne, cominciarono a indossare i pantaloni e a portare i capelli molto corti. Si trattò probabilmente della prima vera e propria rivoluzione nella storia della moda. Forse ancor più grande fu la rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, in quanto per la prima volta si parlò di moda come la intendiamo oggi. Gli abiti non erano esclusivamente funzionali e pratici, ma raffiguravano lo stato d’animo di un’intera generazione, piena di vita e nuovi colori.
Questa nuova moda fu introdotta dallo stilista francese Christian Dior e soprannominata „new look“, che in pochissimo tempo prese piede anche in Italia. Secondo Dior, il „new look“ serviva per donare alla donna la femminilità e la raffinatezza persa durante la guerra: la figura femminile Lidia Trivisonne WS 2006/07 2 torna ad essere viva: le spalle si spogliano e divengono morbide e arrotondate, il seno viene messo in risalto, la vita è sottilissima, ritorna l’uso del corsetto con i fianchi imbottiti, le gonne sono voluminose e gonfie. Si ripropone la donna oggetto, bella da ammirare ma che non fa nulla e passa il tempo nei saloni di bellezza. I capelli sono permanentati e morbidi, il trucco pesante ma dettagliato, uso sfrenato di fard sugli zigomi, sopracciglia depilate, eye-liner nero, ombretto colorato e mascara, rossetto rosso.
L’Italia aveva capito che la sua moda poteva contrastare l’egemonia dell’Alta Moda francese grazie alla fantasia, la vestibilità, la semplicità di taglio e la raffinatezza dei materiali, l’uso sapiente del colore e delle decorazioni. Non era soltanto una questione di prezzi più bassi: la moda italiana era soprattutto in sintonia con i nuovi stili di vita che la prima vera e propria generazione di donne lavoratrici stavano affermando negli Stati Uniti e nel nord Europa. Fino all’inizio degli anni ’50 l’Alta Moda era riservata a un’élite: aristocrazia, alta borghesia e cinema. Ma ben presto nacque anche nel resto della popolazione il desiderio di vestire bene, di essere eleganti sia negli abiti che negli accessori. Bisogna però aspettare fino agli anni Sessanta dove, per via del „prêt-à-porter“ la moda divenne accessibile a gran parte della popolazione. Capo d’abbigliamento tipico di quegli anni è la gonna a palloncino, per appunto di forma gonfia, ottenuta con una stretta fascia attaccata all’orlo in modo da creare una curvatura all’interno verso le ginocchia. Chiamata anche „bubble skirt“ (in Inghilterra), questa gonna divenne un simbolo di femminilità, che rappresentava il ritorno ad uno stile sontuoso e un po’ nostalgico dal gusto Ottocentesco, esaltando soprattutto le corporature adolescenziali. Primo a proporre la linea a palloncino fu lo spagnolo Cristobal Balenciaga, ed oggi questa linea è tornata a far parte del nostro guardaroba. Brevemente vorrei nominare anche un altro simbolo di quell’epoca: le acconciature „alveari“. Si faceva a gara per vedere chi si acconciava i capelli più in alto e chi si spruzzava più lacca. Queste buffe pettinature erano tipiche delle giovani e, di conseguenza, viste con disprezzo e diffidenza da parte dei più anziani.
Sin dagli anni ‘30 i creatori di abiti non erano più sarti, ma stilisti rinomati; negli anni Cinquanta cominciarono poi a farsi un nome tra le stelle dell’Italian Fashion. Questo innovamento fu possibile grazie alle spese e agli incassi del dopoguerra che fecero aumentare la richiesta sempre più forte per abiti di marca poiché ci fu un boom economico generale. Nomi come le Sorelle Fontana, Roberto Capucci, Emilio Pucci e Fernando Gattinoni firmavano gli abiti più belli di quegli anni; volendo nominare uno stilista straniero non posso tralasciare il „Dio della Moda“ Cristian Dior che già da 20 anni riempiva gli animi delle persone con le sue creazioni. Nonostante abbiamo già sentito molto sulle Sorelle Fontana, vorrei rinfrescarci la memoria: Per l’arte delle Sorelle Fontana si tratta di una celebrazione nei luoghi di origine della loro famiglia e della loro attività. Lidia Trivisonne WS 2006/07 3 Infatti, Zoe, Micol e Giovanna Fontana iniziarono proprio a Traversetolo, nella sartoria della mamma, il cammino che con coraggio e genialità le avrebbe portate a ottenere successi e riconoscimenti prima a Roma e poi in tutto il mondo.
Primo fra gli abiti delle Sorelle a portare fama e lustro oltreoceano, fu l’abito da sposa di Linda Christian che sposò Tyrone Power nella basilica di Santa Francesca Romana. Da quel giorno in poi nacque una sorta di frenesia tra le fidanzate d’America a desiderare abiti da sposa creati dalle Sorelle Fontana.
Ad esempio la figlia del Presidente degli Stati Uniti, Margaret Truman. Avendo rilanciato così l’Italian-look, il marchio „Sorelle Fontana“ si impose in un’epoca in cui la Francia dominava incontrastata il panorama della moda internazionale con i nomi di Dior e Balmain e dall’atelier di Roma raggiunse i mercati del mondo intero. A questi primi successi ne seguirono molti altri, le Sorelle Fontana intrecciarono la loro opera con famose industrie italiane, si legarono al teatro e al cinema, alla finanza ed alla politica, senza mai dimenticare la provenienza artigianale della loro arte e la profusione di cultura che le distinse sempre. Vorrei presentare ancor un altro designer italiano di fama mondiale: Roberto Capucci. Nato a Roma nel 1930, Capucci venne giudicato miglior creatore della moda italiana (in particolar modo da Dior) a soli 26 anni. Nel ’62 aprì un atelier a Parigi dove venne accolto fra clamori e entusiasmo. Capucci fu il primo artista italiano a cui venne chiesto di firmare una sua creazione.
Negli anni ’50 emerse anche un nuovo ruolo delle indossatrici, che, da volti pressoché anonimi, diventarono personaggi. Così nacque l’epoca delle modelle famose che poi aumentò ancor più negli anni ’60. Tra le prime ricordiamo le inglesi Jean Shrimpton e Twiggy (la prima donna „grissino“), che diventarono famose per le loro fotografie scattate dagli inglesi David Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy. Questi non erano interessati a quanto una modella potesse rendere elegante l’abbigliamento, essi volevano mostrare quanto il vestito potesse far sembrare sexy la modella, e portarono così una rivoluzione nel pensiero.
Come detto già prima, la moda era riservata ad un’élite, tra queste anche le stelle del cinema: Linda Christian, Rita Hayworth, Ava Gardner, Liz Taylor e Audrey Hepburn; ma anche il cinema italiano di Cinecittà portò i suoi frutti: Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano e Marisa Allasio. Diventando ambasciatrici della moda istituirono così un rapporto tra moda e cinema. Questi iniziò nei primi del ’900 a Hollywood; fino a quel momento le dive provvedevano loro stesse agli abiti di scena. In seguito la figura del costumista ebbe un ruolo decisivo nel decretare il successo della protagonista e di conseguenza dei film. Un costumista noto di quegli anni fu Travilla.