La lavorazione dell’oro a Valenza viene fatta risalire all’iniziativa di Vincenzo Morosetti, che nel 1845 aprì un laboratorio chiamando a coadiuvarlo due provetti operai alessandrini: Franceso Zacchetti e Carlo Bigatti. In realtà, una statistica di qualche anno recedente registra già a Valenza la presenza di due orefici, due orologiai e due venditori di oggetti d’oro. Presumibilmente si trattava di attività modeste, sia dal punto di vista della dimensione, sia da quello della qualità, il cui prodotto, spesso bigiotteria, era destinato alla clientela locale. Morosetti forte dell’esperienza, pare acquisita attraverso l’emigrazione, avviò una produzione di un certo pregio servendosi di tecniche produttive maggiormente raffinate. Successivamente Bigatti e Zacchetti lasciarono il laboratorio e avviarono proprie attività. La ditta di Carlo Bigatti impostò la produzione su criteri non più artigianali, ma con una prima forma di divisione del lavoro.
Le qualifiche dei suoi operai, rilevate da un censimento, erano: incisori, orefici, smaltatori, pulitrici. Nel 1850 i laboratori di oreficeria presenti a Valenza risultano essere tre, nel 1872 se ne erano aggiunti altri due e, complessivamente, davano lavoro a 110 operai. L’anno successivo, un valenzano che aveva molto viaggiato, Vincenzo Melchiorre, tornò nella città natia e aprì un laboratorio di oreficeria portandovi i frutti delle esperienze tecniche e del gusto che aveva acquisito prima a Torino nell’atelier Twerembold, poi nella Parigi del Secondo Impero, allora tempio europeo della moda e del lusso, presso Vaubourzeix Boucheron, e poi ancora nelle nuove capitali italiane, a Firenze da Marchesini e a Roma.
La produzione di Melchiorre era di livello qualitativo più elevato rispetto alla media valenzana, impiegava pietre preziose incastonandole in modo artistico nei gioielli. Nel 1911 la Melchiorre & C. dava lavoro a 86 operai. Il suo esempio venne seguito da altre ditte: Raselli Nicola (1875), Cunioli e Repossi (1880), Marchese e Gaudino (1882). La nascita e il processo di crescita di quello che diverrà il distretto dell’oro si realizzò quindi grazie a conoscenze assunte all’estero e per imitazione da parte di lavoratori qualificati, attraverso un percorso di miglioramento qualitativo. All’inizio del nuovo secolo, nel 1902, venne fondata una Cooperativa di Produttori di Generi di Oreficeria, società anonima a capitale illimitato, i cui soci erano in gran parte operai specializzati e la cui produzione, alla vigilia della prima guerra mondiale, si attestava su un valore di 220.000 lire.
A quella data le imprese orafe valenzane erano almeno 44, di cui 8 occupavano più di 25 operai. La materia prima, oro, era acquistata soprattutto sul mercato milanese, le pietre preziose provenivano oltre che da Milano, da Parigi, Amsterdam, Anversa. Quanto al macchinario, fin dal 1840 era presente ad Alessandria la ditta Mino G. B., apprezzata fabbrica di macchine per oreficeria, presso la quale si servivano i produttori valenzani. Attorno al 1910, a Valenza iniziò la produzione del catename che consentiva una maggior meccanizzazione, anche se il lavoro orafo restava in larghissima misura lavoro manuale. La manodopera maschile era preponderante su quella femminile.
Le donne si occupavano di lavori non specializzati, come la pulitura di oggetti d’oro che richiedeva pazienza, ma non particolare abilità e preparazione. Le vendite si indirizzarono all’inizio al mercato locale, si diffusero poi gradualmente a livello nazionale dopo l’Unità, mentre le prime esportazioni risalgono al tardo Ottocento ed erano dirette verso il Sud America. Le vendite avvenivano grazie a un viaggiatore, spesso il proprietario stesso del laboratorio, che visitava la clientela a domicilio. Un vero boom della produzione si ebbe negli anni che seguirono la fine della seconda guerra mondiale. Successivamente il settore risentì fortemente dell’andamento generale dell’economia. Questa tendenza, del resto, era presente fin dall’inizio: trattandosi di beni voluttuari e di lusso, le contrazioni delle vendite risultano molto evidenti nei periodi di congiuntura economica negativa. Il distretto, così come è riconosciuto dalla Regione Piemonte, comprende otto comuni di cui tre lombardi nati per “gemmazione”.
Prevalgono tuttora le imprese medio piccole che spesso lavorano per subcommissione, la filiera è completa e comprende gioielleria, lavorazione di pietre preziose, bigiotteria. Nel 2007 la produzione del distretto copriva il 13,8% delle esportazioni italiane del settore, che erano tuttavia in calo rispetto agli anni precedenti in seguito alla concorrenza straniera.
Il mercato mondiale dei gioielli ha visto, negli ultimi decenni, l’avanzata di marchi di grande notorietà internazionale e l’ingresso di nuovi produttori quali l’India, la Cina e la Turchia. Tutto ciò ha creato problemi di commercializzazione per le piccole e medie imprese valenzane che hanno dato vita, per i prodotti orafi di alta gamma, al brand DiValenza.